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LETTERA DI UN DOCENTE, GIOVANE, PRECARIO E INCAZZATO

dicembre 7, 2011

La situazione della scuola in Italia è una delle “stecche” del sistema più vergognose. Negli ultimi anni il deterioramento è stato inarrestabile. A fronte di risorse scarse si impone la necessità di spenderle bene, valorizzando il merito e dando spazio alle giovani generazioni finora lasciate ai margini. Questa è la lettera di un giovane docente:

 

Chi ne è fuori non può nemmeno immaginare la crisi che attraversa oggi il sistema scolastico. Io la vivo quotidianamente da docente. Supplente. Precario.

E’ mia convinzione che la cifra prima di qualsiasi meccanismo scolastico sia il rapporto tra docente e studente. A qualsiasi livello, l’unico elemento imprescindibile è la compresenza di queste due categorie di persone. Programmi, crediti, esami di riparazione, voti, unità disciplinari, unità formative, conoscenze, abilità, competenze, ecc… fino ai libri di testo e le tecnologie di supporto, tutto il resto viene dopo.

La classe di studenti viene assemblata (più o meno spontaneamente) e acquista una sua identità che, in maniera lenta o veloce, evolverà nel percorso di studi; comunque avvenga tale composizione, i docenti si trovano ad essere protagonisti della maturazione di almeno un centinaio di persone  ogni anno. Questo lavoro è delicato, prezioso e molto complesso se affrontato con attenzione:  si possono fare enormi danni in poco tempo e non è certo facile arrivare a risultati concreti e consolidati.

Se siamo d’accordo che il lavoro di insegnante sia di capitale importanza dal punto di vista sociale, in quanto si lega all’educazione e alla formazione di decine e decine di individui contemporaneamente, allora è doveroso scegliere persone sveglie, pronte, attente, capaci: in una parola, meritevoli.

Ma il merito viene ignorato dai meccanismi di reclutamento del corpo docente. Per chi non conosce la materia, ricordo molto sinteticamente la struttura burocratica che conferisce gli incarichi: esistono tre graduatorie (prima, seconda, terza fascia) per qualsiasi classe di concorso (la materia insegnata). In prima fascia sono presenti gli abilitati (coloro che hanno passato un concorso o concluso una scuola di specializzazione per l’insegnamento, a cui si accede con concorso. Ad oggi è impossibile abilitarsi); la seconda fascia è anch’essa bloccata e riguarda posizioni ante 1999; la terza fascia è il calderone da cui le scuole attingono personale per le posizioni non coperte dalle graduatorie precedenti.

Io faccio parte della terza fascia. Per entrarvi non bisogna essere abilitati, ma possedere requisiti minimi (esami universitari obbligatori, in base al percorso di studi fatto). Il punteggio della graduatoria si ottiene dal voto di laurea, da eventuali percorsi post-laurea conclusi e da esperienze pregresse nell’insegnamento.

Per quanto riguarda laurea e post-laurea, la situazione è estremamente eterogenea Un esempio su tutti: il requisito minimo di 12 crediti formativi (CFU) di letteratura latina può essere conseguito o passando per un esame preliminare di grammatica latina a Milano, oltre all’esame vero e proprio, oppure sostenendo un semplice colloquio sulla letteratura latina (ovviamente in italiano) alla Ca’ Foscari di Venezia. Una differenza notevole per un esame. Immaginate quanto possono divergere, in difficoltà e competenza, interi percorsi universitari nei diversi Atenei.

Ancora più incredibile è la questione relativa alle supplenze. Che voi siate il nuovo Umberto Eco oppure il più scarso prodotto del sistema universitario nazionale, poco importa: l’unica cosa fondamentale è contare quanti giorni consecutivi si riesce a scaldare la sedia. Potete arricchire la vita di diverse persone o rovinare irrimediabilmente futuri cittadini, nessuno vi dirà mai niente. Non esiste una valutazione della prestazione elargita. L’unica cosa che conta è il numero di giorni. La graduatoria rispecchia quindi la fortuna che si ha nell’essere contattati dalle scuole, non il merito nell’effettivo servizio prestato.

Io non lavoro con continuità. Come tanti. E come tanti, ne soffro. Però mi incazzo pure, perché non pago la mancanza di capacità o bravura, ma il semplice aver maturato meno giorni di supplenza – io classe ’82 – rispetto a chi è nato ad esempio nel 1964 (e magari ha impiegato dieci anni a laurearsi ed è pure stato bocciato a tutti i concorsi che ha provato).

Le abilitazioni sono bloccate dal 2008 e, nonostante decreti ministeriali e decreti attuativi, non sembra che a breve la situazione cambi: nessuno ti valuta, nessuno ti abilita.

Invece di fissare criteri meritocratici per la valutazione dei docenti, si continua a procedere come se la scuola fosse un gigantesco ammortizzatore sociale, utile per distribuire lo stipendio a persone (in gran parte provenienti dal meridione dove – non è un caso – il lavoro scarseggia) che non avrebbero di che vivere. E studiare non serve davvero a molto. Non è un caso se, come canta Caparezza, “da qui se ne vanno tutti”…

Italo