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TASSA DI SOGGIORNO, IL GOVERNO CI RIPENSA

gennaio 4, 2012

C’era una volta il governo Berlusconi e il suo ministro dell’Interno era Roberto Maroni. Uno giorno di gennaio, nel 2009, decisero che era cosa buona e giusta introdurre una tassa anzi, vista l’idiosincrasia del Capo per il termine, un “contributo” a carico dei lavoratori stranieri regolarmente residenti che devono rinnovare il permesso di soggiorno. Allora si scatenò la reazione indignata degli avversari politici e di ampi settori della società civile contro un balzello odioso verso chi già non è esattamente trattato in modo esemplare dallo Stato. Non ci fu niente da fare, la tassa rimase.

Oggi, nuovo governo, nuova musica. Non appena qualcuno ha fatto notare che la tassa sarebbe rimasta in vigore, i ministri competenti del governo Monti – Cancellieri, ministro dell’Interno e Riccadi, della Cooperazione Internazionale – hanno deciso quantomeno di “rivedere” questo contributo per “verificare se la sua applicazione possa essere modulata rispetto al reddito del lavoratore straniero e alla composizione del suo nucleo familiare”. Sembrerebbe quasi buonsenso.

C’è però chi questa eventuale revisione proprio non la può digerire. Manco a dirlo, sono i leghisti. La prima accusa che le camicie verdi lanciano è in generale contro i ministri del governo Monti, che hanno fatto spallucce quando la mannaia del decreto salva-Italia è calata su pensionati e lavoratori italiani a basso reddito, ma adesso si spendono in prima persona per difendere gli immigrati. La seconda è diretta specificamente a Annamaria Cancellieri dal suo predecessore Maroni: “Non si azzardi a toccare la tassa, sarebbe un atto di vera e propria discriminazione nei confronti dei cittadini padani e italiani, un attacco ai diritti di chi lavora e paga la crisi che la Lega non può accettare”.

Quanto alla prima accusa, a meno che non sia stato detto tra le righe che gli immigrati sono esentati dalle nuove regole appena varate dal governo, non c’è motivo di credere che se la passeranno meglio dei loro colleghi italiani, anzi. Come tutti pagheranno più tasse (di cui però vedranno meno i frutti), andranno più tardi in pensione, avranno (se proprio gli va di gran fortuna) un trattamento uguale e non certo migliore degli italiani. Quindi le affermazioni dei leghisti nascondo (strano!) un malcelato razzismo. Il ragionamento che non si può esplicitare è questo: se gli italiani se la passano male, almeno facciamo in modo che gli immigrati se la passino peggio. Consolatorio.

Le parole dell’ex ministro Maroni si inseriscono in questo stesso solco. Sarebbe “discriminazione” nei confronti dei cittadini italiani e padani (sic) trattare gli immigrati come loro. Cioè, esplicitando ancora meglio il concetto, non far pagare o anche solo attenuare la tassa per gli immigrati, è discriminatorio nei confronti degli italiani (che ovviamente quella stessa tassa non la pagano). Che Bobo avesse una sua personale concezione della “discriminazione” lo si sospettava da tempo, oggi é inconfutabile.

Tommaso Canetta