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ARTICOLO 18 E CONFLITTO GENERAZIONALE

febbraio 4, 2012

Partiamo da una commento di un lettore a un precedente articolo.

Vorrei ricordare che gli anziani con il lavoro a tempo indeterminato sono quelli che in caso di crisi o licenziamento non troveranno un’altro posto di lavoro dal momento che, pensando da imprenditore, non investirei su una persona che fra 5 – 10 anni va in pensione, ma su un giovane che ho possibilità di crescere in base alle esigenze aziendali, e sono gli stessi che stanno mantenendo i figli che studiano o che lavorano in modo precario pagando in più il mutuo di casa che non ferma le rate in conseguenza del fatto che sei senza lavoro(…)

Questa testimonianza cristallizza in modo esemplare i termini del problema. Tre aspetti emergono in modo molto chiaro: primo, se le aziende potessero investirebbero sui giovani e non sui cinquantenni; secondo, i cinquantenni che perdono il posto di lavoro è difficilissimo che riescano a ricollocarsi sul mercato; terzo, gli stessi cinquantenni che fanno da “tappo” all’ingresso di forza lavoro giovane, sono i genitori che possono permettersi di mantenere – spesso con fatica – studi e precarietà dei figli.

E’ innegabile che esista un conflitto tra lavoratori anziani e tutelati e lavoratori giovani e precari. Pur non essendo – per fortuna – l’occupazione un gioco a somma zero, la presenza inamovibile dei primi è in molti casi un ostacolo all’ingresso nel mercato del lavoro dei secondi.

Come risolvere la situazione? Semplificando, ci sono due possibilità. La prima è quella – enunciata dal lettore – della conservazione (con qualche correttivo) dello status quo. I genitori e i nonni diventano una sorta di welfare sostitutivo di quello statale per i giovani. Mamma e papà ti possono aiutare a pagare l’affitto o il mutuo della casa quando ancora guadagni 700 euro al mese, possono mantenerti se perdi il posto di lavoro a tempo determinato, e i nonni possono star dietro ad eventuali figli. Perché questo sistema funzioni, genitori e nonni devono continuare ad essere molto tutelati, altrimenti stabilità e crescita economica andrebbero in crisi.

La seconda è quella riformista o rivoluzionaria, che dir si voglia. In questo caso si decide di cambiare il sistema, favorendo l’immediato impiego dei giovani e una loro retribuzione dignitosa. A 25 anni con un brillante curriculum sarà più facile che tu venga assunto in fretta e pagato bene, perché le aziende preferiranno investire su di te potendo scegliere. Questo comporterà delle sofferenze alla forza lavoro più anziana, ma adeguati interventi compensativi potrebbero – e dovrebbero – lenirla.

Il punto è che quando due diritti ugualmente degni di essere tutelati si scontrano – in questo caso quello dei giovani ad avere prospettive e quello dei lavoratori più vecchi a non essere abbandonati a se stessi – nessuno dei due può essere completamente sacrificato. Si opera una scelta su quale dei due far prevalere e si trovano forme di “riparazione” per i danni subiti dal secondo. Si può quindi scegliere di sacrificare i più giovani, garantendogli però l’ombrello protettivo della famiglia (mantenendo i privilegi dei padri), o si può scegliere di sacrificare i più anziani, garantendo però che non vengano abbandonati a se stessi da un momento all’altro.

Un Paese che voglia avere futuro ha il dovere di investire sui giovani. Un buon compromesso per non stravolgere la vita della forza lavoro attualmente impiegata è quella proposta dal governo: le nuove regole sul mercato del lavoro entreranno in vigore solo per i nuovi contratti, chi ha il suo a tempo indeterminato, tutelato dall’articolo 18, non tema. La disciplina nuova si applicherà solo ai contratti nuovi. Per i giovani significa che la nuova forma contrattuale – ipotizziamo “alla Ichino” – varrebbe non appena dal precedente lavoro precario passassero ad una nuova assunzione, questa volta maggiormente garantita (contributi, tutele etc).

Certo, con un simile regime transitorio i benefici per l’occupazione dei più giovani andrebbero più a rilento. Servirebbe un tempo abbastanza lungo di transizione in cui i diritti acquisiti in precedenza dai lavoratori più anziani rimangono. Ma, come detto, non si può sacrificare nessuno degli interessi in gioco. Si può solo scegliere quale privilegiare e come compensare quello “sacrificato”. La decisione non può essere giocata sui numeri (ci sono più over 30 che under), ma sulle prospettive che vogliamo dare all’Italia e a chi oggi fa le elementari o ancora non è nato.

Tommaso Canetta